Indigena “Senzasenso”

Questo Giardino Botanico è stato selezionato nel concorso “Luoghi di valore 2008” indetto dalla Fondazione Benetton Studi e Ricerche di Treviso. Qui di seguito Vi riportiamo la lettera di presentazione.

Indigena “Senzasenso” – storia di un campo da monocoltura a giardino sperimentale per le biodiversità.

Ormai è trascorso un anno da quando girando per la campagna in cerca di luoghi da scoprire e proteggere ho trovato, quasi per caso, un piccolo giardino botanico curato da un privato.

Il giardino si trova a Riese Pio X in Provincia di Treviso, in una zona di campagna la cui vocazione agricola viene continuamente minacciata dal proliferare di villette con giardini tutti uguali perimetrati da siepi che sembrano di plastica.

A questo luogo si può accedere solo tramite un pedonale zeppo di erbe apparentemente disordinate, ricavato tra i cancelli di due abitazioni che si affacciano sulla strada; appena percorso il pedonale, e superate le due abitazioni confinanti, non è più percepibile il carattere residenziale della strada e ci si trova coinvolti in un’atmosfera diversa, intima e contenuta, risultato di un insieme di forme e colori che evocano qualcosa di perduto.

Grazie alla passione di Luca Berdusco, un giovane contadino-giardiniere innamorato della natura e della campagna in cui è nato, questo luogo è il risultato non comune di un processo inverso per cui, al contrario di quello che avviene normalmente, fu proprio la terra ad essere strappata con fatica alle proprietà vicine per essere restituita in qualche modo alla natura.

A partire dal 1992 Luca ottenne la concessione di coltivare queste terre e vi piantò quattrocento alberi richiesti ai vivai forestali di Crespano del Grappa,  contraddicendo di fatto qualunque logica produttiva che fosse ritenuta di buon senso.

Per le persone che circondavano quel ragazzo la sua scelta coincideva con un vero e proprio spreco “di prezioso seminativo a mais” e fu tollerata solo giustificando l’impianto con finalità vivaistico-produttive, benché restasse difficile capire perché le piante fossero distribuite irregolarmente e con essenze ritenute “fuori moda”.

All’interno del campo furono assecondate e valorizzate le caratteristiche dei suoli, il grado di umidità e di esposizione solare per ciascuna piccola parte dell’area, in modo che si potessero organizzare nel tempo dei micro habitat densi di biodiversità. Solo in due punti sono state apportate delle minime variazioni di morfologia del terreno, in modo che si potessero evolvere anche degli ambienti umidi. Infine è stato realizzato un muro, costruito con i resti di un manufatto smantellato sull’area, che è stato presto colonizzato da piante da roccia.

Muschi, funghi, insetti, uccelli e piccoli mammiferi, attirati o introdotti, contribuiscono per la loro parte ai nuovi metabolismi del luogo.

E’ come se si fosse studiato e passato a setaccio un tessuto piatto, destinato e trattato per decenni ai fini monoculturali intensivi, per ricavarne al contrario la massima diversificazione naturalistica ed ecologica che fosse comunque compatibile con il contesto.

Il campo/giardino, nato inizialmente come laboratorio di ecologia a cielo aperto e destinato alla tutela delle piante selvatiche autoctone e di molte varietà utilizzate un tempo in agricoltura, si estende oggi per poco più di un ettaro e vi si trovano più di 600 specie e varietà botaniche.

E’ importante notare che l’equilibrio generale tra tutte le specie, anche considerata la ridotta superficie dell’area, è assicurato dal fatto che questo nuovo sistema prevede la presenza costante di un uomo che, con il suo lavoro e le sue scelte, lo curi quotidianamente.

Come tutti i giardini è un luogo cangiante, mai uguale, e infinite volte cambia volto nell’arco di una stessa stagione. La sua prima vocazione è quella di essere un luogo di studio e di osservazione ove nulla potrà mai essere statico, come avviene al contrario in un museo; si intende perciò che perfino la logica di conservazione delle specie si debba sottomettere, se necessario, ai metabolismi che si modificano nel lungo periodo, anzi queste trasformazioni vengono incoraggiate come forma di rispetto nei confronti della natura, e forniscono altri temi di studio alla ricerca di nuovi equilibri tra le specie. E’ una logica paesaggistica quella che governa questo luogo, una logica di autonomia e di controllo delle risorse, e di osservazione delle trasformazioni che la natura è in grado di compiere.

Questa storia e questo luogo contengono due piccole lezioni sul tema del paesaggio.

Innanzi tutto sono compiuto e semplice esempio di come questo sia determinato dalla vita degli uomini. Noi, con le nostre azioni, idee e sogni, con le nostre scelte di consumo, scelte quotidiane quali ad esempio cosa mangiare, determiniamo il paesaggio che verrà.

Questo ci costringe a una forte presa di posizione in quanto non sarà più possibile ritenersi “cosa altra” rispetto al paesaggio a cui apparteniamo.

In seconda istanza mi piace osservare come questa coraggiosa trasformazione di un campo di mais in giardino sperimentale per lo studio delle biodiversità stia oggi diventando un luogo capace di creare nuove opportunità di relazione, di vita e di ricerca, punto di riferimento per una rete sovralocale.

La capacità di attirare studiosi, naturalisti, appassionati di piante e di giardini unita alla testimonianza di come la natura stessa sia in grado sempre di rinnovarsi, laddove sia possibile instaurare le condizioni minime di equilibrio, celebrano il valore della trasformazione come strumento in grado di innescare processi reversibili o addirittura innovativi.

Questo campo/giardino rappresenta infine un segno positivo e tangibile di una nuova coscienza di tutela e valorizzazione del proprio paesaggio, di una nuova cultura capace di reinventarsi e di diffondersi in maniera capillare sul territorio proprio perché contestualizzata.

Per tutte queste ragioni ho trovato commovente la costanza antica con cui un adolescente ora adulto, saltuariamente appoggiato, ma perlopiù incompreso, abbia realizzato questo nuovo giardino, a mio avviso tutt’altro che Senzasenso.

29 Aprile 2008

arch. Maria Luisa Ruggiero
www.matriceprima.it